Il rebreather di bailout, una nuova tendenza. Grazie a Mario Marconi ripercorriamo esperienze passate e scopriamo a quale tipologia di subacqueo sia adatto. E soprattutto che tipo di training sia necessario.
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Negli ultimi tempi, chi si immerge in circuito chiuso ha sicuramente letto, sulle pagine dei social network, parecchi post a proposito del Rebreather di Bailout. Da portare con sé in immersione e da utilizzare in caso di problemi che potrebbero rendere inutilizzabile la macchina principale.
Un po’ di storia
In realtà, non si tratta esattamente di una novità perché questa tecnica è già stata utilizzata.
Nel lontano 1987, Bill Stone utilizzò un doppio CisLunar Mk1 per un’esplorazione della durata di ben 24 ore a Wakulla Spring, in Florida. E due anni dopo, Olivier Isler utilizzò addirittura un triplo rebreather per spingersi oltre i limiti conosciuti del tempo. Con l’esplorazione della Doux de Coly in Francia.
A raccontarmi questi episodi non può essere che Mario Marconi. È lo speleo sub che nel 2004, con un doppio reb esplorò, insieme a Jerome Meynie, la Source du Saint Sauveur. Si spinse sino al pozzo verticale, ad una profondità di 174 metri.
Perché questa strada è stata abbandonata?
Ma se avevano raggiunto risultati simili perché ad un certo punto questa strada è stata abbandonata?
Una prima causa può essere ricercata nei costi di acquisto e di manutenzione di queste macchine, che erano decisamente elevati. Come era ingente e molto impegnativo il training necessario per il loro utilizzo.
Inoltre, il peso di queste attrezzature facevano sì che il trasporto fosse particolarmente difficoltoso. Mentre le loro dimensioni non li rendevano affatto adatti in caso di esplorazione di grotte con più sifoni.
A tutti questi inconvenienti bisogna aggiungere, secondo Mario, l’eccessivo carico di lavoro che si avrebbe avuto sotto stress. Durante un’emergenza reale, nel gestire un apparato a circuito chiuso manuale. Magari all’interno di una caverna, in condizioni di scarsa visibilità e con la prospettiva di una lunga decompressione da affrontare.
I nuovi rebreather di bailout
Ma allora, perché alcune aziende hanno iniziato ad investire del denaro per produrre dei rebreather idonei ad essere utilizzati come bailout? E perché degli esploratori subacquei sono pronti oggi a spendere i loro soldi per acquistarne uno?
Le risposte sono molteplici e paradossalmente molto semplici.
In primo luogo, sono state introdotte sul mercato delle macchine molto affidabili e più abbordabili dal punto di vista economico.
L’elettronica, se ben costruita ed architettata, oggi è in grado di diminuire il carico di lavoro del subacqueo. Facilitandogli l’utilizzo anche in situazioni di forte stress.
A ciò aggiungiamo il fatto che, alcune aziende hanno iniziato a produrre macchine specifiche per immersioni in sidemount. E quindi predisposti anche per essere utilizzati come rebreather di bailout.
Per chi?
Ovviamente, questa configurazione viene considerata solo per un certo tipo di subacquea cosiddetta estrema. Parliamo di quel tipo di esplorazioni che richiedono distanze lunghe, in particolare attraverso caverne. O profondità molto impegnative con delle risalite non dirette verso la superficie.
In queste condizioni, il subacqueo di punta del team si troverebbe costretto a trasportare una quantità di bombole di bail out in circuito aperto. Che lo renderebbero poco idrodinamico e per nulla agile in un ambiente inospitale come quello che sta esplorando. Immaginiamo che l’esploratore subacqueo debba sagolare un tratto molto stretto di una galleria inesplorata. Con addosso un rebreather e magari 4 bombole di bail out al seguito ed un paio di scooter subacqueo.
Utilizzando un rebreather di bailout si abbatterebbero sensibilmente tutti quegli aspetti relativi alla quantità di bombole da trasportarsi appresso. E si ridurrebbero anche tutti i tempi necessari per effettuare operazioni di posizionamento delle bombole di bail out.
Quali vantaggi?
Ma i vantaggi di questa configurazione con il doppio rebreather non si esauriscono qui.
Ad esempio, in caso di danneggiamento del reb principale. Invece di dover completare l’immersione, e soprattutto la lunga decompressione, in circuito aperto, si manterrebbe il comfort offerto dalla respirazione di un gas caldo umido. Evitando così la dispersione termica che si avrebbe nel respirare da un circuito aperto per tre, quattro ore ed oltre.
Si avrebbe anche una maggiore efficienza del profilo del complessivo. Il quale continuerebbe ad essere a pressione parziale di ossigeno costante, come pianificato nel piano principale. Rispetto ad un profilo con una pressione parziale altalenante, come si registra al variare della profondità, nella respirazione con i circuiti aperti. Infine, si ottiene una semplificazione del piano o dei piani di bailout, che in circuito aperto, sono spesso complessi da prevedere e da preparare.
Una soluzione per tutti?
Ma a questo punto, possiamo considerare la configurazione con il rebreather di bailout adatta a tutti i subacquei che utilizzano il circuito chiuso?
La domanda è retorica e provocatoria e Mario Marconi è subito pronto nel darmi la risposta corretta.
Definisce colui a cui non occorre il secondo reb come il subacqueo che non si immerge frequentemente su relitti molto profondi. O chi non effettua chilometriche progressioni in grotta a quote impegnative.
“Se la vostra immersione standard prevede un range di profondità entro gli ottanta, novanta metri di profondità. Oppure se la vostra immersione in grotta rientra nella fascia turistica speleosubacquea, il classico, vecchio e collaudato bail out in circuito aperto rimane comunque il sistema più semplice. Sicuro e facile da utilizzare.”
Una pratica continua
Infatti, aldilà dell’aspetto meramente economico, l’utilizzo di un doppio rebreather richiede un addestramento e, soprattutto, una pratica continua e maniacale.
Pensiamo ad esempio all’acquisizione di una corretta preparazione per la normale procedura di vestizione, alla preparazione di molteplici check list o alla gestione di un ulteriore volume di gas in risalita. E, complicando ulteriormente, pensiamo a quanto possano essere impegnativi imparare la corretta procedura di switch, lo sviluppo delle procedure specifiche di emergenza e, soprattutto, identificare inequivocabilmente su quale delle due macchine si sta agendo.
E questi sono solo una parte degli aspetti da considerare. Perché lo studio e la corretta esecuzione degli esercizi di gestione richiedono una lunga preparazione.
Sembra insomma scontato, ma forse vale la pena ribadirlo. Chi utilizza un doppio rebreather deve possedere una consolidata esperienza di centinaia di ore di immersione con i sistemi a circuito chiuso.
Esercizio costante
E qui entra poi in gioco il mantenimento costante e continuo delle procedure che si imparano. Non è mai possibile, e soprattutto non è sicuro, considerare tecniche ed esercizi propedeutici al conseguimento di una qualsiasi certificazione o abilitazione come risultati raggiunti. Tantomeno come eventuali conoscenze da utilizzare all’occorrenza.
Un subacqueo ricreativo deve continuare ad esercitarsi con la rimozione della maschera. Il tech diver deve costantemente esercitarsi, a profondità impegnative, con l’apertura e la chiusura dei rubinetti. Un subacqueo che utilizza un reb costantemente provare delle risalite in circuito aperto. Allo stesso modo, chi utilizza un doppio rebreather deve regolarmente utilizzare entrambe le macchine durante un tuffo. Perché, avere l’abitudine di portare al seguito una seconda macchina che non si utilizza continuamente, disabitua. O, peggio ancora, non permette di acquisire la necessaria abilità di gestione di due CCR in situazioni critiche.
Infatti, portare con sé una seconda macchina, da utilizzare solo in caso di emergenza, potrebbe farci ritrovare in situazioni fatali.
Ad esempio, si potrebbe scoprire troppo tardi che il sistema di emergenza si è allagato o che l’elettronica, ad esso collegata, non funzioni correttamente. Senza trascurare il fatto di trovarsi a respirare in situazioni di emergenza da una macchina il cui filtro è rimasto inattivo per molto tempo, in acque fredde.
Che cosa fare?
Per tutti questi motivi, Mario utilizza alternativamente, durante tutta l’immersione e ad intervalli regolari, entrambe le macchine. “Solo in questo modo avremo un check continuo della loro efficienza. Avremo i filtri sempre pronti a fissare l’anidride carbonica. Soprattutto, svilupperemo la nostra memoria muscolare e la corretta sequenza per passare da un reb all’altro.”
Questa è l’unica via da percorrere per poter avere un sistema efficiente ed efficace durante queste immersioni molto impegnative.
Concludo io, è l’unica via che qualsiasi subacqueo deve percorrere per mantenere un livello di sicurezza sufficiente, qualunque sia la sua preparazione e qualunque sia il suo limite massimo.
Il manuale Full Cave DST Academy
Ah, dimenticavo, DST Academy ha appena rilasciato un nuovo e fiammante manuale Full Cave e Mario Marconi, manco a dirlo, ha curato interamente quasi l’intera edizione. E ovviamente, il capitolo dedicato al rebreather cave diving. Da affrontare anche con doppio rebreather.