Lo Junkers-52 di Isola delle Femmine giace, placido a 46 metri di profondità. Ma la sua storia inizia in una bellissima giornata di sole del 1942. E prosegue alla fine degli anni ’80. La sua leggenda vive tutt’ora, anche grazie a Beniamino, il vero titolare.
Una bellissima giornata di sole dell’estate del 1942
Sferracavallo, una borgata marinara di Palermo. Capo Gallo e l’isolotto di Isola delle Femmine incastonano questo gioiellino. È un pomeriggio di una bellissima giornata di sole dell’estate del 1942. L’Europa è nel bel mezzo di un conflitto senza precedenti.
Michele e Carlo Reina sono due ragazzini che stanno giocando sul terrazzo. Ad un certo punto un ronzio di motori rompe il silenzio e la monotonia di quel caldo pomeriggio. Dal mare appare una squadriglia di Junkers-52, in perfetta formazione. Sono diretti verso il vecchio campo di aviazione di Boccadifalco. Gli aerei volano ad un’altezza di circa trecento metri sopra le teste dei due ragazzini.
Solo uno di loro viaggiava ad un’altezza inferiore. Arrancava, i suoi motori emettevano rumori irregolari, interrotti da scoppiettii e pericolosi vuoti di potenza. Per vederlo meglio, Michele e Carlo salgono sul tetto. L’aereo vira improvvisamente e si abbassa ulteriormente di quota. Passa sopra le loro teste obbligandoli ad appiattirsi contro le tegole. Notano la scocca inferiore dipinta di giallo, le croci nere bordate di bianco sotto le ali e la croce uncinata sul timone di coda.
Si rialzano in piedi osservando la strana traiettoria dell’aereo. Si sta dirigendo verso mare. Dopo aver percorso quasi tutta la rada di Sferracavallo, impatta contro la superficie del mare, alzando un muro d’acqua. Il motore inizia inesorabilmente ad inabissarsi mentre gli uomini dell’equipaggio si lanciano dal portellone.
Dal porticciolo del paese i pescatori salgono a bordo delle loro barche a remi e raggiungono i naufraghi. I due ragazzi corrono all’impazzata verso il mare. I militari tedeschi erano già stati portati a riva, in salvo. Con gli indumenti sotto il braccio c’era chi cercava di far asciugare al sole delle banconote e chi cercava di salvare il contenuto di una valigetta portata in salvo. Fumavano sigarette offerte dai loro soccorritori.
Furono portati a Palermo e di loro non si seppe più nulla. Là sotto rimase lo Junkers-52 di Isola delle Femmine.
Zia JU, lo Junkers-52
Sia i tedeschi che gli alleati, lo chiamavano simpaticamente “Tante Ju”, ovvero “Zia Ju”. Era un trimotore prodotto sin dagli anni Trenta dall’azienda tedesca Junkers.
Utilizzato dapprima per scopi civili, fu ingaggiato dalla Luftwaffe come aereo da trasposto e come bombardiere.
Era un aereo che non eccelleva in preziosismi stilistici di linea e di aerodinamicità. Era piuttosto goffo un po’ spigoloso. Ma era robusto e affidabile in volo. Durante la seconda guerra mondiale ne furono prodotte quasi tremila unità.
Purtroppo, era un aereo lento e troppo poco armato in confronto ai caccia. L’aviazione tedesca subì molte perdite, in particolare proprio nel Mediterraneo.
Fine anni ’80: il gruppo Tecnomare
Fine anni ’80, un gruppo di subacquei palermitani, già segnalatosi per il recupero di alcune ancore ellenico-romane, individua l’area del relitto di un aereo tedesco della seconda guerra mondiale. È il relitto dello Junkers-52 di Isola delle Femmine. Loro sono i ragazzi del Gruppo Tecnomare.
Si avvalgono delle conoscenze e dei suggerimenti di un esperto pescatore locale che li conduce con precisione chirurgica sul punto. Scendono in mezzo a nuvole di anthias, per giungere finalmente al cospetto dell’aereo. Sono ad una profondità di 46 metri. Scattano alcune fotografie in bianco e nero dei motori.
Poi, all’improvviso, un grosso grongo si piazza davanti a loro e li guarda direttamente negli occhi. Sarà lungo due metri abbondanti per un peso di una trentina di chili.
Lo ritrovano ogni qualvolta ci tornano. È lui il vero titolare dello Junkers-52 di Isola delle Femmine. Lo battezzano Beniamino.
Giugno 2021
Il piccolo borgo marinaro di Isola delle Femmine si sta preparando alla stagione estiva. I ragazzi festeggiano la fine dell’anno scolastico mentre il primo caldo inizia a riscaldare la pelle dei primi bagnanti.
Sulla strada principale c’è un diving center, si chiama Diving Center Saracen. C’è un viavai di subacquei e di attrezzature. Sono subacquei tecnici e stanno partecipando ad un camp formativo, l’XRCamp.
Oggi i subacquei si immergeranno sullo Junkers-52 di isola delle Femmine. La stessa Zia Ju che Michele e Carlo Reina hanno visto ammarare 80 anni fa. Quel relitto che dei ragazzi palermitani scoprirono alla fine degli anni ’80.
Inizio a scendere seguendo la cima di ancoraggio. La visibilità è sensazionale. Inizio a scorgere la sagoma dell’aereo appena supero la quota di trenta metri di profondità. Man mano che scendo la sua maestosità mi rapisce.
È capovolto, a pancia in su. Probabilmente, durante l’ammaraggio, il peso di uno dei motori lo ha sbilanciato. Ruotando durante l’inabissamento.
La fusoliera, la coda e, soprattutto la cabina di pilotaggio sono quindi sepolte sotto la sabbia. Fortunatamente, le ali sono completamente integre. Anche i due motori sono intatti. All’interno di quello di sinistra una piccola aragosta fa capolino. Su quello di destra, l’elica appare completamente illesa. Segno che nel momento dell’ammaraggio il suo motore doveva essere ormai fermo, altrimenti sarebbe piegata all’indietro. Probabilmente era quello il motore in avaria.
Mi muovo verso la parte posteriore ed incontro un grosso blocco, ormai ricoperto da alghe e concrezioni. Potrebbe essere parte del terzo motore. Ma non ne ho la certezza.
Mi riporto verso la prua e noto la scaletta di accesso alla fusoliera. È l’unico particolare che mi fa intravedere l’aereo al suo interno.
Il tempo sta trascorrendo velocemente, sto facendo delle fotografie. I subacquei che sono scesi con me stanno tutti risalendo. Piano piano la sospensione inizia a scendere. Sull’aereo cala improvvisamente un momento di tregua. Nella calma mi posizioni di fronte alle eliche per cercare qualche scatto decente.
A quel punto con la coda dell’occhio sinistro noto un movimento. Mi giro di scatto e vedo spuntare dalla carcassa un testone massiccio bluastro con due occhioni curiosi.
Mi avevano avvertito della presenza di un grosso grongo, ma non immaginavo così grande. Sembra abbastanza abituato a quei rompiballe di subacquei. Mi scruta curioso e lentamente inizia ad uscire dalla sua tana. Provo a fotografarlo ma la mia fotocamera lo attira parecchio. La punta avvicinandosi minaccioso, apre la bocca e mi costringe a battere in ritirata.
Riuscirò a fotografarlo il giorno successivo, durante la ripetizione dell’immersione. In quell’occasione ho scovato anche una bella cernia che riposava sotto un’ala. Ma, nel frattempo, avevo già parlato con il mio amico Riccardo Cingillo. È il depositario di molti segreti, quelli che vi ho raccontato oggi. Il suo documentario sullo Junker 52 di Isola delle Femmine è davvero interessante. Lo potete vedere qui.
Rimangono però ancora tante domande alle quali nessuno, al momento, è stato in grado di darmi delle risposte. Da dove proveniva lo stormo di Junker che, nell’estate del 1942, sorvolò la baia di Sferracavallo. In che tipo di missione erano impegnati? Di quale stormo facevano parte? Da chi era composto l’equipaggio? E poi, che cosa conteneva quella valigetta che fu tratta in salva dagli aviatori tedeschi? Domande che per il momento rimarranno senza risposta.