Il relitto del Mohawk Deer

Il relitto del Mohawk Deer, la nave che morì tre volte.

Che cosa ci fa una nave che trasportava merci nei grandi laghi americani nei fondali di Portofino?

Leggi la sua storia incredibile e alcuni episodi di vita vissuta sott’acqua, proprio lì…

9 agosto 2024: il relitto del Mohawk Deer con il Crisa

Oggi, io e il Crisa (al secolo Giovanni Crisafulli), il fotografo preferito da Mares Italia, con l’Horizon sulle spalle, ci siamo immersi sul Mohawk Deer.

Ieri, è stato il mio 57esimo compleanno. Oggi, ho radunato un gruppetto di amici per festeggiarlo. Nell’unico modo che un subacqueo possa conoscere: andare sott’acqua!

In questa estate del 2024 l’anticiclone delle Azzorre è stato abbondantemente superato da un periodo devastante di caldo umido, che rende insopportabile qualsiasi movimento.

Il motivo per cui (guardate questo video e lo scoprirete) tutti, ma proprio tutti, abbiamo abbandonato la muta stagna per una molto più confortevole umida è proprio questo…

Se non hai voglia continuare a leggere puoi guardare questo video

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Se invece vuoi leggere la storia del relitto del Mohawk Deer, la nave che morì tre volte, allora puoi continuare

La cala degli inglesi, Portofino AMP

L’imponente scogliera, che dal Faro prosegue verso ponente, crea una baia naturale, quasi fosse un fiordo che si insinua nel ventre della costa.

È la Cala degli Inglesi, una meravigliosa insenatura posta allo sbocco di una piccola valle lungo un sentiero che da Portofino conduce a San Fruttuoso

È un percorso parecchio impervio, attrezzato in più punti con catene per facilitare i passaggi, altrimenti abbastanza esposti. E pensare che i vecchi abitanti del luogo lo percorrevano in scioltezza senza protezioni…

L’ho raggiunta alcune volte camminando attraverso questo scenografico percorso, fatto di salite impegnative che ti conducono sul punto nel quale la roccia inizia lo strapiombo verso il mare e ti regala panorami indimenticabili, avvolto dai profumi della macchia mediterranea, dal finocchietto di mare, il mirto ed il corbezzolo.

La Cala degli Inglesi è uno dei luoghi più appartati dell’intero promontorio. La caletta è compresa tra spettacolari scogliere di conglomerato che scendono sinuosamente verso la superficie del mare, che nelle belle giornate estive assume un colore turchese.

Grazie alla sua posizione, offre un ottimo ridosso. Correndo per una decina di metri parallela alla costa, funge da diga, contrastando il moto ondoso. Proprio per questa particolarità, chi vuole organizzare una giornata di mare noleggiando un’imbarcazione, potrà ormeggiare su una delle boe bianche che l’Area Marina Protetta mette a disposizione.

Il relitto del Mohawk Deer

Il relitto del Mohawk Deer

Qui in mezzo, nelle profondità di questa caletta giace un relitto.

Sono numerosi i relitti antichi recenti il cui destino ha voluto che avessero come dimora eterna i fondali del promontorio di Portofino. Buona parte di essi, sebbene si conoscano storia ed ubicazione, non sono visitabili mentre altri sono comunque poco raggiungibili perché richiedono un addestramento particolare, certamente fuori dai canoni dell’immersione ricreativa. 

L’unico tra i relitti disponibile ad accogliere senza troppe difficoltà la visita dei subacquei è proprio questo: il relitto del Mohawk Deer

La storia del relitto del Mohawk Deer

Ha una storia piuttosto curiosa; lunga e travagliata, oserei dire davvero sfigata. Massimo Mazzitelli, un subacqueo e fotografo genovese ne ha scritto anche un libro che ha intitolato: “Mohawk Deer, la nave che morì 3 volte. La vera storia.”

La sua storia inizia nel lontano 1986 presso i cantieri navali F.W. Wheeler & Co. Lo scafo aveva una lunghezza di 118 metri una larghezza di circa 14. Possedeva tre alberi e procedeva grazie a due caldaie a carbone. 

Durante i suoi lunghi anni di navigazione, cambiò il nome più volte e fu contraddistinta da eventi sinistri e sfortunati allo stesso tempo. Più volte la nave ebbe delle piccole collisioni, una addirittura nello stesso anno di costruzione, che le provocò uno squarcio di circa tre metri sulla fiancata di dritta. 

Collisioni, affondamenti e rinascite

Successivamente, nel 1901, ebbe una nuova collisione e nel 1903 si incagliò, carica di materiale. Si incagliò nuovamente nel 1906 e fu testimone, assieme al suo equipaggio, anche della sparizione di un vapore di legno colpito da una gigantesca onda e scomparso nelle acque. 

Era originaria dei grandi laghi americani, il suo primo nome fu Waldo e naufragò la prima volta, spezzata in due, nel 1913, sul Lago Superiore, durante un terribile fortunale. 

La recuperarono e riuscirono anche a rivenderla. Nel 1915 fu riallestita e addirittura ampliata per poter traportare ancora più merci e gli cambiarono pure il nome. Divenne la Riverton e navigò per molti anni fino al 15 novembre del 1943, quando, colpita da una bufera di vento e di neve, fu spinta violentemente contro una scogliera.

Affondò drammaticamente ma anche questa volta tornò a galla. Fu recuperata e riallestita a nuovo da una compagnia di navigazione canadese. E divenne la Mohawk Deer, il cervo della Mohawk Navigation Co. Ltd di Montreal.

La sua fine

Navigò per molti anni, trasportando grano e frumento nelle rotte nordamericane sino a quando fu venduta come “ferro vecchio” ai Cantieri di Portovenere, in provincia della Spezia.

La vecchia nave canadese era partita dal porto di Genova la mattina del 5 novembre del 1967, al traino di un rimorchiatore jugoslavo, diretta alla Spezia presso il cantiere di demolizione. Durante la traversata però una violenta libecciata fece rompere il cavo di traino. Così il suo viaggio finì tra le rocce della Cala degli Inglesi, destinata a diventare l’habitat ideale per pesci e subacquei, rimanendo nella memoria, suo malgrado, per ancora tanti anni. 

In balia del vento e del mare, senza poter essere in alcun modo governata, il Mohawk Deer venne abbandonato al suo destino e andò ripetutamente a cozzare contro la scogliera, spezzandosi in due tronconi ed affondando. 

Divenne il relitto del Mohawk Deer.

Il relitto del Mohawk Deer sott’acqua

Sott’acqua, la grande prua è rivolta verso la costa, appoggiata, quasi verticalmente, agli ultimi scogli che anticipano il fondale e sembra quasi voler ritornare verso la luce. L’ancora, la catena e l’argano fanno mostra di sé adornate da lucenti corvine.

Il resto del relitto si trova adagiato sul lato destro, lungo la linea di massima pendenza del fondale tra i 25 e i 39 m di profondità. La nave, spezzata in due, è rimasta visitabile in tutto il troncone prodiero. La parte poppiera venne completamente distrutta e i prezzi sono disseminati ovunque, si possono scorgere tanto nei pressi della scogliera quanto approfondita beni più impegnative. Come le caldaie che si trovano, sulla sabbia, ad una profondità di circa cinquanta metri, distanti dal resto.

L’esplorazione

L’esplorazione non presenta grosse difficoltà, basta proseguire sino al termine del troncone seguendo la linea di chiglia soffermandosi ad osservare tra gli squarci, che i ripetuti impatti con gli scogli hanno causato, come fossero ferite indelebili. Le lamiere sono diventate delle tane e dei nascondigli per i gronghi e per gli astici. Sul fianco della nave alcuni grossi rami di gorgonia hanno colonizzato tutto.

Ma solo giunti sul fondo si può vedere come la forza del mare abbia tranciato questa nave dalla storia disgraziata. Un taglio netto, come un colpo di scure, che però ci consente di vedere la sua struttura in sezione. 

Raggiunto il tratto più profondo dello scafo ci si può dedicare, durante la risalita alla penetrazione dell’Interno di quel che resta della coperta e delle stive. Un vero e proprio groviglio di lamiere informe che si offre alla vista del subacqueo. Il cassero un tempo era la parte più scenografica del relitto. Un paradiso per i fotografi subacquei, un colpo di scena indimenticabili per tutti coloro che si sono immersi qui. Oggi purtroppo è quasi totalmente collassato vittima della corrosione e della mareggiata ormai tristemente famosa.

L‘ennesima sciagura

Il Mohawk Deer sembra infatti aver subita l’ennesima sciagura il 29 ottobre del 2018, quando la terribile mareggiata che ha distrutto il porto di Rapallo causando danni irreparabili al suo golfo ha mosso violentemente anche il fondale della Cala degli Inglesi. Il vecchio cervo canadese ha retto come ha potuto alle furiose ondate di quel triste giorno ma il suo esile scheletro ferroso ha subito nuove ed importanti lesioni.

Anche se tutto il male non vien per nuocere. I resti sparpagliati del relitto, sbattuti avanti e indietro dai marosi, sono stati ripuliti dalle incrostazioni che negli anni lo avevano ricoperto ritornando a splendere di quella luce che prima di quel novembre del 1967 lo rendeva maestoso.

Un paio di episodi di vita vissuta sul relitto del Mohawk Deer

Ora vi racconto un apio di episodi, bizzarri e pure molto fortunati che mi sono capitati in questi anni di immersioni, sul relitto del Mohawk Deer.

Mai esagerare

Era una domenica pomeriggio d’autunno, in quel periodo dell’anno durante il quale le giornate iniziano ad accorciarsi inesorabilmente. Ma il tempo era ancora bello, c’era stato il sole per tutto il giorno e l’acqua continuava ad essere calda.

Avevo passato tutto il mio weekend da Abyss, un paio di immersioni profonde il sabato ed altrettante due la domenica. Era giunto il momento dell’ultimo giro di barca, quello che metteva definitivamente la parola fine al lungo e faticoso fine settimana. La destinazione era il Mohawk.

Un amico mi chiese se avessi voglia di farmi ancora un tuffo ed io non mi feci ovviamente pregare. In barca decidemmo di andare sino alle caldaie del relitto, sul sabbione ad una cinquantina di metri.

Arrivammo in fondo al primo troncone, abbandonammo lo scafo e ci spostammo verso il centro della baia alla ricerca del nostro obiettivo. Al rientro il mio computer, carico di ore di immersione prolungate, segnava una cospicua decompressione. Che rispettai completamente, aggiungendo una ulteriore decina di minuti supplementari perché sapevo di avere la coscienza sporca, sapevo che stavo scherzando con il destino. Era la mia terza immersione della giornata, ed era stata ancora un’immersione profonda.

Risalii in barca che stava per imbrunire e il sole stava facendo capolino alle spalle del monte. Mi sedetti sulla panca e mi tolsi di dosso l’attrezzatura. Per anticipare le future manovre di sbarco, smontai e stivai tutto nella mia borsa di rete.

Fu a quel punto che avvertii un colpo secco, all’altezza della mia spalla sinistra, quasi fosse una frustata. D’istinto cercai con lo sguardo Gugu, il barcaiolo, perché credevo mi avesse colpito con una cima durante le operazioni di disormeggio. Ma era lontano da me, in tutt’altre faccende affaccendato. Ci volle un attimo per capire poi chiesi l’ossigeno di bordo.

Sdraiato sui banchi dell’aula didattica di Abyss mi sottoposi a due cicli di respirazione ad ossigeno puro, concentrato su ogni possibile reazione del mio corpo. Le mie giunture, le mie mani, la sensibilità dei polpastrelli. E poi la vista e la mobilità del tronco. 

Il dolore stava lentamente calando, sino ad annullarsi, mi era andata bene. Ma lo spavento mi condusse ugualmente in ospedale, per una visita specializzata ed un immancabile giro di giostra.

Mai fidarsi di un vecchio computer subacqueo

Altra domenica, altro giro, un bel po’ di anni dopo. Questa volta in acqua ci sono un gruppo di quattro subacquei con equipaggiamento tecnico ed un altro in versione ricreativa. Stesso percorso dell’episodio precedente, sino alla fine del troncone e poi via alla ricerca delle caldaie.

Il computer mi segnala della decompressione, ma noi, i quattro tecnici, abbiamo, al nostro fianco, una bombola decompressiva carica di EAN 50. Il subacqueo ricreativo ha solo una bombola da 15 litri ed un vecchio computer, di quelli che ti indicano il tempo di decompressione solo quando arrivi alla quota prevista. Ma lui è un subacqueo esperto, giudizioso e preparato. E poi, penso tra me e me, alle caldaie ci sono andato tante volte con il mono bombola e ci sono sempre stato dentro con i consumi.

Risaliamo, cambiamo i gas, e arriviamo alla quota dei sei metri. In quel momento il nostro buddy ricreativo scopre di avere tanta, tantissima decompressione. 

La sua bombola è ormai quasi vuota ed io ho quasi finito la mia decompressione. Gli passo dapprima la mia frusta principale ma lui inizia ad avere seri problemi d’assetto. Resistiamo alla risacca, con fatica ma ce la facciamo. Poi il mio computer mi segnala che posso risalire e allora mi sgancio la decompressiva per lasciargliela e per permettergli una sosta più sicura. 

Ed è lì che scatta lo psicodramma. Lui si divincola, non riesce a stare in assetto, io mi ancoro ad una roccia, in un piccolo anfratto, ma l’aria imprigionata all’interno della muta stagna mi sale inesorabilmente su per le caviglie. È la fine, con la bombola decompressiva in mano ed un compagno che respira dal mio erogatore principale cerco in tutti i modi di ripristinare il mio assetto, sudando e ridendo allo stesso modo.

Alla fine, ci riesco, aggancio la bombola al suo GAV, mi riprendo il mio erogatore primario, lo saluto e me ne vado. 

No scherzo, mi sono messo lì, a tre metri, bravo bravo, ad aspettare che il suo vecchio computer gli desse il via libera.

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