La gestione del rischio nella pratica subacquea: errare humanum est. Anche i subacquei più bravi sbagliano. Come saper gestire i rischi. Un focus sugli human factors.
Nel mondo delle immersioni subacquee c’è una crescente attenzione ai cosiddetti fattori umani e alle soft skills. È una tendenza abbastanza recente, in gran parte guidata da Gareth Lock, fondatore del sistema descritto in www.thehumandiver.com .
In Italia, la portavoce di questa nuovo corrente di pensiero, nella gestione del rischio nella pratica subacquea, è Beatrice Rivoira.
Forse vi starete chiedendo cosa siano i fattori umani e le soft skills, dal momento che non sono argomenti di cui si parla tutti i giorni.
Prima di chiarire questi termini, vorrei innanzitutto evidenziare ciò che non sono.
Non sono qualifiche subacquee. Non vi porteranno in profondità e nemmeno vi insegneranno a usare una nuova attrezzatura o tecnica. E non sono nemmeno certificazioni né riconoscimenti. Anche se, a parere mio, lo potrebbero diventare….
In realtà, le soft skills mirano a migliorare il processo decisionale, attraverso una buona consapevolezza della situazione, la giusta comunicazione, il lavoro di squadra e la leadership. In altre parole, tutti i fattori umani che ci mantengono sicuri durante le attività cosiddette a rischio.
C’erano troppe cose da ricordare anche per i piloti più bravi al mondo
Fu l’industria aeronautica ad essere determinante nello sviluppo di questi concetti dopo l’incidente aereo del Boeing B-17 nel 1935. Un incidente gravissimo avvenuto per uno sbaglio che, con il senno del poi, appare quasi banale.
A causa di una dimenticanza del comandante, considerato il migliore di tutta l’U.S AIR FORCE, l’aereo precipitò poco dopo il decollo.
Fu a partire da quel giorno che vennero istituite le checklist. La commissione d’inchiesta le rese obbligatorie, per fare in modo che prima di ogni decollo si verificasse con precisione di aver eseguito tutte le attività e i passaggi fondamentali per il volo.
Questi controlli antecedenti al decollo sono elementi essenziali della sicurezza che contribuiscono a garantire l’incolumità dei passeggeri e dell’equipaggio, in un ambiente ad alto rischio.
Però, tra i subacquei, pochi lavorano nel settore dell’aviazione, quindi, perché dovrebbero interessarsi del concetto di Human Factor?
Probabilmente la ragione più importante è che vogliamo sfruttare al meglio questo meraviglioso sport, essendo sicuri di tornare a casa sani e salvi.
Vediamo quindi le ragioni per cui a volte qualcosa va storto.
La subacquea integra diversi elementi. I principali sono: gli individui, l’attrezzatura, le regole e la consapevolezza dell’ambiente. Occorre mantenere sempre uno sguardo globale su di essi poiché l’attività subacquea rimane imprescindibilmente sotto il controllo e la responsabilità di chi la pratica.
Il concetto di Human Factor (fattore umano) rientra nello studio dei comportamenti umani in un dato ambiente esterno. Riguarda i meccanismi tra la percezione del contesto circostante e le reazioni, coscienti o no, che ne derivano.
Ma soprattutto, il termine Human Factor abbraccia lo studio delle ragioni per cui si arriva a commettere un errore che fa scattare l’incidente durante un’immersione.
Spesso, l’analisi degli incidenti subacquei chiama in causa la persona del subacqueo stesso. Il quale viene perciò considerato l’elemento di insicurezza ovvero l’anello debole del sistema.
ll punto nodale: l’errore
Anche se può risultare difficile da accettare, ciascuno di noi commette da 3 a 6 errori all’ora. Per fortuna, la maggiore parte di essi non provocano un incidente.
Inoltre, alcuni studi di psicologia cognitiva hanno evidenziato che l’essere umano non può compiere simultaneamente più di 6 azioni senza che sorga un sovraccarico cognitivo generatore di stress e quindi dell’indebolimento della nostra lucidità.
Due sono le tipologie di errore: esistono errori endogeni (proprie all’individuo) ed errori esogeni come l’ambiente, l’attrezzatura e anche la compagnia.
In un primo momento si è pensato di raggiungere il livello dell’”errore zero” attraverso alti livelli di formazione. Tuttavia, ci si è presto accorti che la presenza di fattori estrinsechi, come altri subacquei, elementi atmosferici del tutto inaspettati o ancora l’inevitabile caso fortuito, intralciano tale obbiettivo.
Pertanto, ci si è concentrati sulla gestione dell’errore piuttosto che sulla sua impossibile totale eradicazione.
Di fatto, l’analisi delle situazioni concrete ha evidenziato che l’errore va oltre la preparazione tecnica e l’esperienza e ricorre ad elementi estrinsechi che portano il subacqueo sotto la loro influenza e perciò fuori del loro buon senso abituale. Sotto l’influsso di questi parametri esterni si fa presto ad oltrepassare i nostri limiti.
Il modello groviera
Tale fenomeno si spiega grazie al modello di Reason proposto dal professor James Reason dell’Università di Manchester. Aiuta a capire perché gli incidenti accadono, mettendo in evidenza la complessità delle relazioni di causa ed effetto.
Questo modello va oltre le circostanze immediate dell’incidente ed esamina da vicino le condizioni che hanno portato all’evento.
Il modello creato da Reason chiamato Swiss cheese model individua i nostri paletti di protezione e le nostre barriere di sicurezza quali “fette” di formaggio svizzero con “buchi” che simboleggiano le lacune nella successione causale.
La maggior parte degli incidenti è la conseguenza di una successione di eventi e/o comportamenti che portano ad un esito fatale. Se si elimina un elemento dalla catena degli errori, nella peggiore delle ipotesi non cambia molto. Nella migliore si può evitare l’incidente il quale non avviene improvvisamente, bensì dopo un susseguirsi di fatti, azioni e circostanze.
Potrebbe sembrare banale, ma il primo passo da fare al fine di interrompere questa catena è accettare che possiamo tutti fare errori! Poiché sono troppo numerosi e disparati, la maggior parte di essi rimane imprevedibile.
Si può trattare di un briefing un po’ superficiale, un’omissione nei controlli pre-immersione, fattori esterni (profondità, corrente, freddo, buio…), situazione di disagio e stress pregresse o sorte durante l’attività.
Lo diceva Carl Gustav Jung: “La gente potrebbe imparare tanto dai propri errori se non fosse così occupata a negarli.”
Situation awareness: l’anticamera del processo decisionale
Per conseguire l’obiettivo auspicato bisogna raggiungere un livello sufficiente di consapevolezza della situazione. Perché 88% degli incidenti gravi in qualsiasi ambito sono dovuti al disconoscimento della stessa.
Secondo il modello definito da Mica R. Endsley (Toward a Theory of Situation Awareness in Dynamic Systems, Human Factors and Ergonomics Society, 1995), la fase iniziale dell’analisi di una situazione consiste nella percezione dell’ambiente attraverso i 5 sensi. Le informazioni così ricevute vengono poi comprese e proiettate in un momento futuro.
La successione di tre fasi, percezione, comprensione e proiezione, costituisce la consapevolezza situazionale. Si tratta quindi di un processo dinamico che ha origine in un dato ambiente, nel quale gli elementi vengono sottoposti al processo cognitivo e di cui si determina la probabile evoluzione. Queste informazioni alimentano il nostro processo decisionale, che guida le nostre azioni.
Essere consapevoli di avere dei limiti nella percezione, nella comprensione o nella proiezione nel futuro, è essenziale per generare strategie. Che permettano di recuperare un livello soddisfacente di consapevolezza della situazione.
La gestione del rischio nella pratica subacquea: qual è il peggior nemico della consapevolezza della situazione?
Non sono i fattori ambientali, una preparazione pratica e teorica un po’ superficiale, la mancanza di umiltà, l’autocompiacimento oppure la troppa fiducia nella propria attrezzatura, bensì la standardizzazione della devianza.
Mi spiego meglio.
La normalizzazione sociale della devianza significa che le persone in un determinato contesto sociale professionale, dilettantistico o familiare si abituano così tanto al comportamento deviante che non lo considerano più tale. Nonostante vada ben oltre le regole di sicurezza di base.
L’ignoranza di ciò che sta accadendo è di tipo organizzativo così impedisce qualsiasi tentativo di fermare il danno che si sta verificando.
L’organizzazione non può incolpare l’individuo deviante, il quale ha quindi un motivo valido per aggirare le regole. Perciò, la rettifica delle regole devianti deve essere effettuata dal gruppo nella sua interezza andando incontro ad argomenti di questo tipo: “le regole sono stupide e inefficaci, non mi permettono di raggiungere il mio obiettivo” oppure “ma io, le regole le applico…!”
Quando si raggiunge la standardizzazione alcuni non sanno nemmeno che esiste una regola o uno standard idoneo!
La gestione del rischio nella pratica subacquea: meglio prevenire che guarire
Gesù sul Monte degli Ulivi disse: “chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra”…
Ebbene, quale subacqueo non ha mai superato la data di scadenza della manutenzione della propria attrezzatura? Oppure dimenticato di controllare la scorta di gas prima o durante l’immersione? Di effettuare i controlli pre-immersione con il buddy, di seguire alla lettera la checklist del CCR? Oppure ha negato di avere esagerato ad una festa la sera prima o di avere un malessere pur di andare in acqua?
Può capitare un incidente percepito come una piccola seccatura, ad esempio una maschera che perde la quale finirà in fondo al borsone fino all’immersione successiva. Sperando che la prossima volta vada meglio.
Ma se si tratta di un erogatore o di una frusta che perde? Abbiamo veramente preso il tempo di fare un debriefing per saperne di più o hanno fatto la stessa fine della maschera? Dopo tutto, erano solo piccole bolle…
Sappiamo tutti che non dovremmo immergerci con un’attrezzatura difettosa, ma essendo umani, spesso razionalizziamo una situazione in base al suo risultato: “Ho fatto un’immersione con una perdita al primo stadio, ma è andato tutto bene”.
In tale caso, abbiamo appena superato il primo limite di sicurezza, ma ci sentiamo ancora al sicuro e decidiamo quindi di immergerci di nuovo con quel primo stadio. Il nostro cervello ha spostato il limite di sicurezza da “mai immergersi con un’attrezzatura difettosa” a “è accettabile immergersi con un’attrezzatura leggermente difettosa”.
Questo può continuare fino a quando il primo stadio non si rompe sott’acqua e provoca un incidente molto più grave.
La gestione del rischio nella pratica subacquea: errare humanum est
Siamo umani e tutti commettiamo errori.
La chiave per una vita lunga e felice come subacquei è imparare a sbagliare in sicurezza.
Pertanto, se dovesse succedere un problema, 3 sono i passi da seguire:
-Problem solving: Fermarsi e osservare intorno senza trascurare quello che sta più distante. Riflettereevitando la pessima tendenza a confortarsi nelle nostre scelte affrettate, le quali ci spingono a sottovalutare la situazione.
La prima idea che ci viene in mente è quasi sempre quella sbagliata.
–Think!: Analizzare la situazione stimando le possibili conseguenze, identificare le potenziali soluzioni e scegliere quella più idonea secondo la situazione.
–Do it!: Applicare la propria scelta presa con consapevolezza poiché è apparsa come la soluzione migliore dopo tutto il processo decisionale.
Ricordiamo che la sicurezza deve essere il nostro punto fermo: è meglio peccare per eccesso che per difetto!
Divertitevi ma soprattutto siate prudenti
Buon blu a tutti.
Fonti: