Istruttore subacqueo, pro e contro di una scelta di vita. Un dibattito attraverso le esperienze di vita vissuta di due professionisti che vivono di subacquea.
Thomas
Si chiama Thomas, ha 35 anni e da qualche anno è diventato istruttore subacqueo. E fin qui è una storia come tante, come la mia, che non ho più 35 anni. Si diventa istruttori subacquei per completare un percorso, per trasferire la passione agli altri. A volte per status, a volte per far carriera all’interno del proprio circolo o per aver in mano una carta da giocare per un ipotetico piano B.
Thomas invece il suo piano ce lo avevo ben stampato in testa.
Arriva da Cittadella, nella pianura veneta, a metà strada tra Padova e Vicenza. Cuore pulsante del tessuto produttivo, dove le piccole e medie imprese costituiscono lo zoccolo duro dell’economia regionale. Lui lavora in una di queste, da subito, dal diploma in ragioneria. Si occupa della logistica. Il suo modo di fare garbato e quella faccia da bravo ragazzo lo rendono gradito al management dell’azienda. E lui, lì sta bene.
Thomas e la subacquea
Si imbatte nella subacquea, forse per caso o forse perché è alla ricerca di un hobby, di una passione. O magari di una comunità di amici. Il percorso è veloce, lui è bravo, attento e meticoloso. Un fisico longilineo probabilmente lo aiuta nella gestione del suo assetto.
Sposa la subacquea tecnica, si arma di bi-bombola e di tutto ciò di cui ha bisogno per imparare ad andare oltre.
Mancava l’ultimo tassello, forse il più importante. Quell’esame per diventare istruttore che per chi lo ha fatto rimane una delle prove più difficili da affrontare. Giorni e giorni a prepararsi, a studiare, a provare e riprovare esercizi, briefing, lezioni simulate e, soprattutto errori da scovare e da correggere. Poi la valutazione, la paura di non farcela, lo stress che ti paralizza gambe, braccia e cervello.
E quando torni a casa, la stessa routine, le stesse cose da fare. Vai in piscina, con gli amici del tuo club subacqueo e, con i galloni da maestro, inizi a trasmettere la tua passione a chi, come te qualche anno prima, arriva lì alla ricerca di un qualcosa di nuovo.
Ti hanno già detto che il lavoro dell’istruttore subacqueo è il mestiere più bello del mondo. Puoi andartene in giro, vivere in ciabatte e pantaloncini nei posti più fighi. E soprattutto puoi divertirti come un matto.
Però… c’è un però. Devi avere il coraggio di mollare tutto, lavoro, famiglia, amici. Tutto quello che ti gira intorno ed è diventata la tua zona di comfort. Facile da sognare, facile da dire agli altri ma tremendamente difficile da fare.
La scelta di Thomas
Ecco, Thomas quel coraggio ce l’avuto. Ha mollato il lavoro, quel lavoro sicuro e anche ben pagato che ci hanno detto che ci avrebbe permesso di costruirci una vita tranquilla. Fatta di una casa e di un mutuo da pagare, di una famiglia, forse dei figli e una vecchiaia serena.
Se n’è andato all’Isola d’Elba e ha ricominciato da zero. Era l’ultimo arrivato, il meno esperto. Si è caricato migliaia di bombole sulle spalle sotto la canicola estiva e ha iniziato ad accompagnare i subacquei sott’acqua. Ha imparato a conoscere il mare, quel mare, perché ogni mare è diverso. Ha imparato ad osservare, a gestire ansie e preoccupazioni, sue e di chi affidava a lui le proprie sorti.
L’inverno successivo è partito per la Thailandia, insieme ad un paio di amici che stavano facendo lo stesso percorso. Ha trovato lavoro anche lì. Poi di nuovo l’Isola d’Elba, poi alle Maldive e ancora all’Elba.
E poi c’è stato il lockdown e anche il suo mondo si è fermato. Chissà quante persone sono andate da lui dicendogli “te lo avevo detto”. Lui che nel frattempo ha trovato da fare in un cantiere nautico all’Elba. E chissà quante volte anche lui avrà pensato “porca troia, se fossi rimasto a casa”.
Già, ancora le sicurezze, la nostra zona di comfort. Gli altri che sperimentavano lo smart working o al massimo erano in cassa integrazione. Lui, invece, che ha perso il lavoro, i contatti e delle opportunità.
Ma lo scorso inverno Thomas ha ricominciato a lavorare come istruttore subacqueo. Ha fatto il capo barca sul Conte Max, una delle più belle imbarcazioni da crociera, alle Maldive.
Spesso rispondeva ai miei whatsapp con meravigliose immagini, vere e proprie cartoline provenienti da un paradiso. Con il sole che nasceva dal mare, in un posto unico ed inimitabile.
Mi ha scritto non appena è tornato a casa, per una breve pausa, prima di tornare all’Isola d’Elba per affrontare la stagione estiva. E mi è venuto a trovare, con la scusa di prendere il mio libro e per fare qualche immersione insieme.
I miei dubbi, le mie paure
Mentre indossavamo la muta stagna gli ho fatto una domanda a bruciapelo: “Ma tu non hai paura del tuo futuro?”
È venuta fuori, netta e tranciante, la mia paura del futuro, quel timore di non farcela a vivere nell’eterna incertezza, nel continuo cambio di scenario, nell’ininterrotta ricerca di un posto nuovo dove lavorare. Quella paura che mi ha frenato molte volte e che spesso mi frena ancora. Al punto di preoccuparmi anche per il futuro di un amico.
Perché stravolgere la propria vita, abbandonare affetti e certezze per provare a fare il mestiere più bello del mondo?
Yme Carsana
Ne ho parlato con un mio caro amico, un maestro nell’uscire dalla zona di comfort, uno che addirittura si annoia a fare sempre le stesse cose. Si chiama Yme Carsana e, secondo me, nessuno meglio di lui ha dimostrato che si può vivere, anche molto bene, lavorando nel mondo della subacquea.
Nel suo DNA scorre, per metà, sangue nordeuropeo. Sua mamma, che è olandese, gli ha trasmesso una cultura molto diversa dalla mia. Lo ha incoraggiato a sganciarsi dalle comodità di casa e dalla protezione familiare e lui è cresciuto con un forte senso di indipendenza e con una innata curiosità. Ha deciso di andarsene da casa molto presto, lasciando l’agio e gli affetti per lanciarsi verso l’ignoto. In poco tempo ha conquistato una felicità mai provata e ha capito che coloro che gli consigliavano di non partire lo facevano solo per invidia, perché non avevano la forza di rompere le catene della consuetudine.
Le sue e le mie considerazioni
Yme mi racconta che, spesso, i giovani istruttori che avevano appena superato la sua valutazione gli chiedono se valga la pena provarci davvero. Se sia saggio partire alla ricerca della propria felicità. Spesso le voci di quelli come me avvertono, come dei corvi, “non ne vale pena, nessuno diventa ricco con la subacquea”. Anzi, aggiungo io, “e già difficile farsi pagare”!!!
Poi ripenso a Thomas. Quel ragazzone che ho conosciuto qualche anno fa, quando ancora doveva diventare istruttore subacqueo, non esiste più. Ho davanti a me un uomo sereno, soddisfatto di sé e felice delle sue scelte. È più ricco, di esperienze e di conoscenze. Parla fluentemente inglese ed è capace di confrontarsi con tutti e con tutte le culture.
Penso che i miei pregiudizi, le mie paure, le mie insicurezze non debbano assolutamente essere ascoltate. Le dinamiche sociali, come mi ricorda Yme, tendono a frenare chiunque esca dagli schemi. È un meccanismo inconscio che ci permette di evitare il senso di colpa quando non si ha il coraggio di prendere, anche noi, delle decisioni diverse.
E poi ci si trova ad ammirare gli imprenditori coraggiosi, gli esploratori temerari e gli sperimentatori indomiti, che, se avessero chiesto il parere agli altri, si sarebbero sentiti rispondere: “ma chi te lo fa fare?” (Yme Carsana)
Dedicato a tutti gli istruttori subacquei (e ai futuri istruttori subacquei) che hanno (o avranno) il coraggio che non ho avuto io: cambiare!!!