La Bettolina di Sestri e la storia romanzata dell’affondamento, il 12 febbraio del 1944. Uno stralcio della ricostruzione attenta e precisa di Claudio Grazioli contenuta nel suo ultimo lavoro: “La flotta sul fondo” dedicato ai relitti di Sestri.
Riassunto della puntata precedente
Nella prima parte di questo trittico dedicato alla Bettolina Jörn, Claudio Grazioli ha ricostruito tutta la sua storia, dalla costruzione, nei cantieri olandesi, sino al suo utilizzo, durante la Grande Guerra, da parte dei tedeschi.
Ma, soprattutto, Claudio ha riscritto la pagina di storia riguardante il suo affondamento, rivedendo e confutando le prime tesi fatte da chi precedentemente aveva affrontato questo tema.
Sestri Levante 12 febbraio 1944
È il 12 Febbraio del 1944 e siamo nel Golfo del Tigullio.
Probabilmente è una fredda giornata e una bettolina è ancorata in rada di fronte a Sestri Levante.
Pare provenga da Livorno e che non trasporti nulla; nelle sue stive al momento sembra ci siano solo sacchi di zavorra. Questa zavorra sarà scaricata per far posto al materiale di rifornimento, forse destinato alle truppe tedesche che bloccano l’avanzata degli alleati in centro Italia.
La bettolina per poter navigare deve essere zavorrata se non trasporta nulla. Le acque sono troppo impetuose per un barcone con il fondo piatto e vuoto, in navigazione potrebbe sbilanciarsi e capovolgersi. Questo barcone fu costruito per navigare nei fiumi europei ed è finito invece quaggiù, a causa della penuria di scafi. Ed ora è utilizzato per trasportare di tutto.
Ha una forma tozza con lo scafo largo e basso. La chiglia è piatta ed è adatta ai bassi fondali dei fiumi. La prua, tonda, non è certo ideale ad affrontare le alte onde marine. Il suo motore è lento ed è costruito per contrastare la debole corrente dei fiumi e dei canali del centro Europa. Non certamente per i marosi impetuosi delle acque salate del Mar Mediterraneo.
A bordo
A bordo ci sono quattro uomini, quattro militari tedeschi.
Il caporale che è al comando si chiama Karl. Aspettano l’ordine di entrare in porto per caricare. Non occorre gettare una seconda ancora, una è più che sufficiente.
Karl probabilmente non vede l’ora di arrivare a destinazione per riposare. Nell’ultimo periodo i trasferimenti sono divenuti sempre più frequenti. Il viaggio è lungo a causa del lento motore che hanno a disposizione. Probabilmente viaggeranno con un nuovo convoglio marittimo in direzione sud questa notte. Tutto è plumbeo, freddo intenso e pungente.
L’umidità permea anche i pesanti vestiti fino ad arrivare alle ossa. Intorno c’è tanto grigio, il cielo e il mare non hanno limiti, non vi è orizzonte. Tutto sembra essere inghiottito dal nulla.
Il pericolo è in agguato
Ma non ci si può distrarre. In ogni momento il nemico potrebbe colpire dall’alto con i suoi terribili ordigni, seminando morte e distruzione. Lo sta già facendo da tempo si è provato a contrastare l’avanzata ma senza successo.
Nell’entroterra il pericolo è maggiore, non passa giorno senza che giunga dal cielo una sventagliata di mitragliatrice o, peggio, qualche ordigno.
Qui in mare invece tutto appare più tranquillo, ma questa calma potrebbe svanire in qualsiasi momento. Tutti i giorni, i nemici risalgono la penisola con i loro pesanti bombardieri per colpire i principali nodi di comunicazione. Volano dalla Corsica e dalla Sardegna sino alla costa ligure e oltre.
L’ora di pranzo
L’attesa per entrare in porto a caricare è lunga e snervante.
I quattro marinai cercano di far passare il tempo probabilmente ascoltando musica al giradischi, con uno di quei 78 giri che sono in cabina. Qualcuno forse sta mettendo sul fuoco una casseruola, con qualcosa di caldo piacevole e confortante. La cucina in ghisa con un forno che brucia carbone, è posizionata vicino alla carboniera in prossimità della timoneria.
Qualcun altro potrebbe essere sul ponte a sistemare le funi per legarle alle bitte durante l’ormai prossimo approdo in porto.
Un aereo, all’improvviso
In febbraio a oltre 3000 metri di altitudine l’aria è gelida.
Ma quello che disturba maggiormente un pilota è la scarsa visibilità. Le nuvole basse e gonfie coprono lo spazio tutto intorno e non si vede neppure il mare sottostante. Forse non era proprio la giornata giusta per volare ma il comando voleva così.
Il bombardiere americano ha già sganciato bombe sul porto di Sestri Levante, colpendo il suo obiettivo. La sua missione è stata ormai portata a termine. Ha distrutto la ferrovia portuale, i magazzini colmi di materiale bellico e una grossa nave all’ancora.
Ora l’aereo deve effettuare un veloce secondo passaggio per verificare i danni causati al nemico. Scende di quota ignorando il pericolo delle batterie costiere.
All’improvviso il grosso aereo esce dalla foschia e si materializza nella rada, dove altre piccole imbarcazioni sono all’ancora qua e là.
I cannonieri dell’aereo sono ai loro posti e hanno tra le mani le armi capaci di provocare danni enormi. Il cannoniere fa fuoco.
Lo scontro a fuoco
A bordo della Bettolina i marinai prima di sentire il rombo dei motori dell’aereo sentono le sirene degli allarmi antiaerei posizionate a terra insieme agli scoppi delle prime bombe che cadono sui magazzini del porto.
Il comandante volge lo sguardo al cielo e lancia l’ordine secco: “alle mitragliere!!”
I marinai cominciano a far tuonare le armi e delle scie luminose salgono verso il cielo. Le raffiche coprono interamente qualsiasi altro rumore.
Poi una scarica di grandine infuocata si sprigiona dal muso dell’aereo. Alti sbuffi d’acqua bianca si alzano dalla superficie salata verso il cielo. I proiettili delle mitragliatrici uno dopo l’altro tracciano delle linee convergenti sempre più vicine all’obiettivo.
Una scia di fumo e fuoco si infila nella murata della Bettolina. Con un rombo sordo, seguito immediatamente dalla deflagrazione di un proiettile che colpisce la murata di destra. Penetra nella stiva numero 1 ed esplode con un boato.
Lo scoppio, la deflagrazione e il relativo spostamento d’aria provocano uno sfondamento della murata. Tutta l’imbarcazione è sconquassata dal boato. Sembra quasi che lo scafo faccio un sussulto sull’acqua, pare che si deformi dal colpo ricevuto.
La Bettolina viene sbalzata in alto per poi ricadere sulla superficie del mare, avvolta dalle fiamme sprigionate dall’esplosione del proiettile. Ben presto metà della prua viene inghiottita dal mare, le onde che la sommergono in appaiono incandescenti per le fiamme presenti qua e là sulla superficie.
L’acqua sta ora premendo nelle stive per impadronirsi lentamente dello scafo, entrando in modo non violento ma inesorabile attraverso la ferita.
I quattro marinai
Per salvarsi i quattro marinai dovrebbero però buttarsi in mare allontanarsi dalle fiamme e dal gorgo che presto inghiottirà tutto.
L’acqua è gelida e i pesanti indumenti indossati per ripararsi dal freddo intenso potrebbero non favorire la lunga nuotata per raggiungere la riva, lontana mezzo miglio dal punto del disastro.
Ma oggi la fortuna è con loro: i sacchi di zavorra hanno smorzato la potenza dirompente del proiettile. La piccola bettolina, anche se colpita morte, opporrà una lunga resistenza e ci vorranno 45 minuti per farla affondare, permettendo così all’intero equipaggio di mettersi in salvo.
Il pilota dell’aereo, nel frattempo, vede la superficie del mare intorno in fiamme e decide di allontanarsi. La missione è terminata con successo. Per molto tempo della bettolina Jörn non si saprà più nulla e verrà dimenticata, come molte altre navi scomparse e affondate durante l’ultimo conflitto mondiale.
Venerdì prossimo non perdete il racconto dell’immersione sulla Bettolina.