Mario Marconi è uno degli speleosub più importanti d’Europa. Dal 2003 in poi è protagonista di imprese incredibili che lo spingono laddove nessuno era mai arrivato. L’esplorazione della Source de Saint Saveur e il relitto del battello Milano sono i suoi migliori risultati.
I suoi esordi
Mario Marconi diventa un subacqueo a soli 17 anni e tre anni dopo viene attratto dai primi moti dei subacquei tecnici che si immergono nelle grotte. Le grotte sono un amore a prima vista, la classica attrazione fatale.
È un militare, lavora nell’aeronautica ed è un operatore di bordo sugli elicotteri di soccorso. A quei tempi presta servizio a Novara. Per lui arrivare in Francia per immergersi nelle grotte transalpine è molto comodo. Frequenta i migliori spelosub e ne apprende le filosofie. Partecipa a numerose spedizioni.
Le prime imprese
Nel 2002 si brevetta Speleosub presso la Scuola Nazionale di Speleosubacquea. L’anno successivo, insieme a Carlo Marcheggiani, raggiunge i -125 metri di profondità in circuito aperto nel sink hole, il “Pozzo del Merro”. Ad oggi l’esplorazione umana più profonda effettuata in questa dolina carsica. Nello stesso anno, e con lo stesso compagno di immersione, trova la continuazione della risorgenza di Capodacqua e ne esplora tutta la nuova sezione.
L’esplorazione della Source di Saint Saveur (-174 metri)
La prima vera impresa è datata 2004, quando con Jerome Meynie, esplora la Source di Saint Saveur. Si immergono in configurazione doppio rebreather, con uno scooter. E con uno scatolone in plastica da un metro quadrato, fissato al soffitto della grotta a 12 metri di profondità, da utilizzare come habitat decompressivo.
Hanno un assistente a -60 ed uno a -12. Niente di più, al resto ci devono pensare loro. Superano il limite conosciuto a -80, superano il passaggio laterale della grotta ed arrivano al pozzo verticale. Mario si ferma a – 174, con il bombolino della muta stagna esaurito. Jerome arriva a -182.
Risalgono insieme a -120 metri, fanno lo stop check e poi risalgono indipendentemente a causa dei differenti profili di immersione dovuti alle diverse profondità raggiunte.
A 600 metri dall’uscita del passaggio laterale si ferma il suo DPV. Lo spinge a mano sino allo scatolone deco. Entra nell’abitat decompressivo e si fa 4 ore a respirare ossigeno. Lo raggiunge Jerome e con lui ascolta musica dall’IPod, mangia frutta qualche barretta. Jerome sceglie “lasagne alla bolognaise”, rigorosamente made in France.
La sua immersione durerà 9 ore e 23 minuti.
Da quell’immersione sposa la filosofia del solo dive. “Perché oltre ad una certa profondità puoi fornire al tuo compagno solo aiuto e non soccorso. Con lo stress, l’attrezzatura tecnica e l’ambiente difficile si rischia facilmente il doppio incidente.”
Ancora nel 2004 sempre in doppio CCR e senza nessun team di assistenza porta l’esplorazione della grotta “La Foce” dai -80m ai -120mt.
Nel 2005 estende l’esplorazione della “Grava di S.Giovanni” dal precedente terminous dei -70mt spingendosi fino ai -134m utilizzando CCR.
Il relitto del Battello Milano (-241 metri)
Nel 2008 insieme ad Alessandro Scuotto e Pim van Der Horst si immerge sul relitto del battello “Milano” nel lago Maggiore raggiungendo i -241mt (profondità compensata con la quota) con rebreather. Ad oggi, è l’immersione umana più profonda effettuata su un relitto. Il ROV di supporto, i palloni sparati alle tappe di sosta per dire che va tutto bene, la campana riscaldata e, soprattutto, le ore di decompressione. L’ha raccontata molto bene Marco Sieni sul numero 274 di SUB, luglio del 2008. Vi invito a leggerla: http://www.marcosieni.it/?Photo-Works/Relitto-Milano–236.
La sua filosofia di vita
Io l’ho conosciuto per caso, mentre facevo ricerche per scrivere l’articolo su O’Dive, il sensore doppler per la rilevazione delle microbolle. Mario è un utilizzatore. L’ho chiamato per avere da lui qualche recensione. Ne è venuta fuori una telefonata di un’ora e mezza.
Mario è una persona umile. Uno di quelli che ti racconta le cose che ha fatto come se fossero delle normali avventure tra amici. E lo fa con semplicità, senza vanagloria. Insomma, senza tirarsela.
Sebbene Mario Marconi sia diventato uno degli speleosub più importanti d’Europa.
Che cosa lo ha spinto verso queste imprese
Gli chiedo cosa lo ha spinto laggiù. E scopro che non voleva fare dei record e nemmeno passare alla storia per l’impresa. Voleva solo mettersi alla prova ed estendere i suoi limiti. Lo faceva per se stesso, perché ama ciò che fa.
Gli chiedo allora che tipo di training deve fare un subacqueo che si spinge verso quei limiti. Per diventare come Mario Marconi, uno degli speleosub più importanti d’Europa. E mi risponde semplicemente che, grazie alla sua professione, ha imparato ad ottenere una formazione elevata e costante. Mi dice che è sua abitudine essere “very skilled”. Che tutto ciò che apprende lo ripete sempre con esercizi costanti. Mi rammenta che qualsiasi esercizi provato durante un corso subacqueo non deve essere considerato come un’esperienza fatta, come una prova superata. Superare una prova durante un corso genera una sicurezza effimera. È fondamentale ripetere sempre, svolgere un training costante. Ogni immersione che lui fa contiene una parte di esercizi per il buon mantenimento degli skills appresi. Mi racconta che spesso dedica intere immersioni ad esercizi utili a saper gestire le emergenze. Perché il fattore umano è l’unica possibilità di salvezza al cospetto di un imprevisto sott’acqua. A qualsiasi profondità, sia che tu sia Mario Marconi o un subacqueo come me. Che si immerge per raccontare ciò che ha visto e le emozioni che ha provato.
Come affronta tutto queste ore sott’acqua
Sono curioso anche di sapere cosa pensa là sotto, solo, in compagnia della sua mente. Negli abissi.Nella parte di discesa Mario prova una forma di totale scollegamento con il mondo esterno. Nella parte delicata, fondo ed esplorazione, cerca di mantenere sempre la massima concentrazione sui campanelli d’allarme. Ma è durante la decompressione che mi fornisce il suggerimento più interessante. Le sue decompressioni durano anche più di quattro ore. Ha imparato a fissare degli step. Come dice lui a “fare l’elefante a fette”. A porsi degli obiettivi di breve, come raggiungere una determinata quota, fissata per una sosta. Per poi concentrarsi sull’obiettivo successivo. Mi dice che è un esercizio molto utile da applicare nel quotidiano, per imparare a gestire lo stress derivante dai troppi impegni. E detto da uno come lui credo sia davvero un grande suggerimento.
Mario Marconi oggi
Mario continua ad immergersi, quasi sempre nei laghi, quasi sempre oltre i 100 metri. Oggi Mario continua a lavorare in aeronautica, a Pratica di Mare. Ed è sempre a bordo di elicotteri. Presta soccorso ai dispersi in montagna, ai naufraghi o a chi è vittima di attacchi cardiaci sulle navi o in posti remoti. Una attività tutt’altro che tranquilla, in linea con il suo stile di vita. Sempre pronto a sfidare dei limiti, in questo caso non per se stesso ma per dare il suo contributo nel tentativo di salvare vite umane.
Mario è un ambassador Phy Diving http://www.phidiving.com/mario-marconi-phy-ambassador/
Potete anche seguirlo su Facebook alla pagina PITCH BLACK Mario Marconi Cave & Tek Diving Training https://www.facebook.com/mariodeepcave