Un verme colorato, all’apparenza innocuo, sta colonizzando i fondali rocciosi del Mar Mediterraneo. Un vorace predatore il cui impatto sulla struttura ed il funzionamento degli ecosistemi costieri rocciosi del Mediterraneo è ancora tutto da valutare. Le sue prede preferite: il riccio e la stella marina.
Si chiama vermocane (Hermodice carunculata) e ha nel Mediterraneo il suo mare d’elezione, anche se lo si può ritrovare sulle coste americane, dai Caraibi al Brasile, e nel Golfo di Guinea, in Africa. Negli ultimi tempi ha visto aumentare notevolmente la sua presenza tanto da essere definito un vero flagello. Si tratta, infatti, di un avvistamento ormai abituale per noi subacquei italiani che, spesso, non ci imbattiamo più in esemplari isolati durante le nostre immersioni, ma ne ritroviamo a decine, soprattutto nelle regioni meridionali e persino in pieno giorno, cosa insolita per una specie da sempre considerata più attiva di notte. Favorita dal surriscaldamento dei mari, questa specie si sta moltiplicando e sta risalendo verso acque un tempo più fredde come il Tirreno, il Ligure e l’Adriatico.
Secondo la mitologia greca, i vermocani erano colossali mastini privi di zampe, pronti a risvegliarsi nelle umide notti di primavera, alla ricerca di una vittima.
Nei poeti del 1300 ricorreva l’imprecazione “Mo ti colga il vermocan!” perché all’epoca il vermocane era considerata una malattia provocata da un verme che si credeva pungesse il cervello provocando dolori atroci.
Hermodice carunculata, è un grande polichete amfinomide che può raggiungere 30-60 cm di lunghezza. In Italia è conosciuto come vermocane o verme di fuoco, per l’immediata sensazione di bruciore, eritema e pizzicore che le chete presenti sul suo corpo possono provocare a contatto con la cute. Inoltre, le chete dorsali sono particolarmente fragili e tendono a staccarsi facilmente dal corpo del verme, conficcandosi e frammentandosi nella pelle o nelle mucose dei potenziali predatori, dissuadendoli dall’attacco. Il vermocane è ampiamente diffuso nell’Oceano Atlantico e nel Mar Mediterraneo, dove popola soprattutto i bacini centrali, orientali e le coste salentine, calabresi e siciliane. Negli ultimi anni, le densità delle popolazioni di questo verme, negli habitat rocciosi del Mar Mediterraneo, stanno rapidamente aumentando al punto che non solo gli apneisti ed i subacquei ma addirittura gli snorkelisti ed i bagnanti affermano che è diventato sempre più facile osservare decine di vermi di fuoco, lunghi da 10 a 30 cm, mentre strisciano sul fondale, con avvistamenti a partire da 0,5-1 m di profondità. Inoltre è stato ipotizzato che, in un contesto di cambiamenti climatici, H. carunculata possa estendere il suo areale di distribuzione verso latitudini più elevate per arrivare sino all’estremità nord del Mar Tirreno, oltre che aumentare la densità della popolazione nelle aree in cui è già presente.
Se infastidito o semplicemente sfiorato involontariamente, le setole bianche di cui è dotato possono generare irritazioni estremamente dolorose a causa delle tossine e poiché tali strutture si conficcano facilmente nella pelle esse sono anche difficili da estrarre.
Incontro, sul lungomare di Porto Cesareo, l’amico Sergio Fai, un biologo marino e Advanced European Scientific Diver che lavora presso il Consorzio di Gestione dell’Area Marina Protetta Porto Cesareo nell’attività di monitoraggio scientifico e controllo ambientale ed antropico. Sergio ha studiato Scienze e Tecnologie per l’Ambiente presso l’Università del Salento laureandosi nel 2007 e ad ottobre 2017 ha conseguito la laurea magistrale in Coastal and Marine Biology and Ecology presso l’Università del Salento. Ha investito molto nella propria formazione seguendo numerosi corsi sul monitoraggio ambientale e sui sistemi informativi geografici.
Collabora attivamente con Enti di Ricerca ed altri soggetti pubblici come consulente tecnico ambientale e ha partecipato alla redazione di diverse pubblicazioni scientifiche e, mentre comodamente sorseggiamo un buon caffè, mi racconta dei suoi recenti studi su questo terribile e poco innocuo animaletto.
Il vermocane è conosciuto come una specie saprofaga, che si nutre prevalentemente di sostanze in decomposizione, come pesci morti e moribondi e gli scarti eliminati dai pescatori. Non è raro trovarne un gruppetto in mare mentre si nutre di un pesce morto.
Ma il verme di fuoco è ben noto anche come un predatore generalista, in grado di nutrirsi non solo di carogne ma anche di consumare attivamente prede sessili e addirittura in movimento.
Per meglio comprendere quali invertebrati marini possano essere oggetto di predazione da parte di questi vermi marini i ricercatori dell’Università di Modena e Reggio Emilia stanno svolgendo esperimenti in laboratorio. I primi risultati ottenuti dagli esperimenti di predazione confermano le capacità del vermocane di predare diversi tipi di invertebrati marini. Il verme di fuoco ha adottato la stessa modalità di foraggiamento per tutti gli organismi testati, che prevede un contatto iniziale casuale, una fase di riconoscimento e l’eversione della faringe sul corpo della preda. Il tempo di manipolazione e consumo varia in funzione delle caratteristiche delle prede, come taglia, presenza di scheletro e difese.
In particolare, la capacità di questo verme di predare attivamente ricci di mare ha suscitato l’attenzione di una prestigiosa rivista scientifica internazionale. È di agosto scorso infatti la pubblicazione su Ecological Society of America di un articolo scientifico dal titolo Bearded versus thorny: the fireworm Hermodice carunculata preys on the sea urchin Paracentrotus lividus (il barbuto contro lo spinoso: il vermocane preda il riccio) a cinque firme: Roberto Simonini, Sara Righi, Isabella Maletti, Sergio Fai e Daniela Prevedelli.
I vermi di fuoco possono anche consumare organismi dotati di difese chimiche come gli cnidari dotati di nematocisti (ad esempio anemoni e meduse) e difese fisiche, come spine di ricci di mare, senza riportare apparentemente danni, includendo anche prede inappetibili per la maggior parte degli organismi.
Con le sue spore appuntite e velenose si attacca anche sulla parte più giovane e fragile della gorgonia mangiandone la carne e non le ossa. Il vermocane lascia libera ed esposta a rischi l’ossatura della gorgonia che può così essere attaccata da larve di alghe che soffocheranno la stessa gorgonia.
Il vermocane può quindi alimentarsi su un’estesa varietà di prede, presentando così un grado di plasticità alimentare superiore a quello di tanti altri animali.
Saranno necessarie ulteriori ricerche per determinare i possibili effetti di questo polichete sulle popolazioni delle sue prede e valutare i potenziali impatti sulla struttura ed il funzionamento degli ecosistemi costieri rocciosi del Mediterraneo.
Potrebbe diventare un serio pericolo per l’intero ecosistema marino e per ora l’avanzata delle sue legioni sembra inarrestabile, soprattutto se favorita dal surriscaldamento dei mari. Anche perché, almeno nel Mediterraneo, non si conoscono nemici in grado di contenerlo, a parte, forse, l’uomo.
Consiglio utile
Che cosa fare per la puntura dei vermocani?
Ovviamente il primo consiglio per evitare di essere pizzicati dal verme di fuoco è quello di mantenersi a debita distanza dai fondali rocciosi nei quali possono essere presenti scogli affioranti.
Nel caso malaugurato di contatto con esso bisogna rimuovere le minuscole setole urticanti aiutandosi con del nastro adesivo.
L’applicazione di alcol invece aiuta a lenire il dolore.
👌