La leggenda narra che dalla collana della dea della bellezza si fosse sfilato un monile di perla che cadendo in mare diede origine all’isola di Pianosa.
Credo che abbia circa la mia età ma la vita di mare, aspra e movimentata, lo fa sembrare decisamente più giovane. Dall’accento capisco che non è elbano ma da come conosce questo arcipelago posso pensare che sia qui da parecchio tempo.
Mentre guida il gommone che da Portoferraio mi condurrà verso Pianosa mi illustra con particolare dovizia ogni anfratto della costa dell’Isola d’Elba e man mano che ci allontaniamo inizia a raccontarmi, con dettagli interessantissimi, la storia della “perla di Venere”.
Questo scoglio triangolare, che si trova a circa tredici chilometri a sud-ovest dell’isola d’Elba, all’occhio del navigante si presenta quasi totalmente pianeggiante, senza particolari asperità o colli, in piena sintonia con l’origine del suo nome Planasia, dal latino planus ovvero piatto.
Pianosa fu abitata sin dalla preistoria, come documentato da scavi archeologici risalenti addirittura all’età del bronzo.
Ma già in epoca romana l’isola venne utilizzata come luogo di deportazione e qui fu esiliato Agrippa Postumo, nipote ed ex erede di Augusto. I ruderi della sua villa ed un sistema di catacombe ne sono la testimonianza. In quel periodo Pianosa fu anche un centro importante per le rotte commerciali del Mediterraneo. Spedizioni archeologiche subacquee hanno scoperto e studiato giacimenti sommersi di anfore olearie ispaniche e africane.
Nel Medioevo, dopo una violenta disputa tra Genova e Pisa, l’isola passò sotto il dominio di Piombino per diventare successivamente disabitata ed utilizzata, nella bella stagione, dai contadini e dai pescatori elbani.
Ma il connubio tra Pianosa e la deportazione riprese a metà del XIX secolo con l’istituzione della colonia penale agricola, nella quale venne detenuto anche il futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Il vero isolamento iniziò nel 1977, con l’istituzione del carcere di massima sicurezza e l’evacuazione forzata della popolazione pianosina. Questa nuova realtà la trasformò in una vera e propria fortezza, inaccessibile a tutti e vigilata giorno e notte via terra e via mare. In quegli anni delinquenti come il mafioso Francis Turatello ed il brigatista Renato Curcio furono rinchiusi qui.
Solo nel 2011, dopo che già da qualche anno si era allentato il sistema di vigilanza, l’attività carceraria cessò.
Da quella data è terminato il divieto assoluto di sbarco che da un lato aveva evitato lo sviluppo turistico e dall’altro ne aveva preservato le bellezze emerse e sommerse.
E così Pianosa, l’isola piatta, un tempo inferno per i mafiosi colpiti dal 41 bis oggi ha un futuro legato all’ambiente ed all’ecologia.
Ci arrivo in gommone, partendo da Portoferraio, in un venerdì di metà settembre. Il cielo è terso ma il sole non riesce a concederci il giusto tepore. Dopo l’estate bollente le temperature sono scese drasticamente e anche qui, nell’arcipelago toscano, il clima è ormai autunnale.
L’isola d’Elba è agghindata a festa e sta attendendo l’arrivo di flotte di subacquei per la quinta tappa di aSSIeme, il tour itinerante organizzato dai diving locali affiliati all’agenzia didattica SSI.
Il patrimonio sommerso di Pianosa, incontaminato da più di 150 anni, è selvaggio e riserva al subacqueo emozioni e sorprese grazie alla ricchezza di pesce, che non essendo abituato alla presenza estranea e minacciosa del pescatore apneista si lascia facilmente avvicinare.
Per preservare e proteggere questo ambiente, l’Ente Parco Arcipelago Toscano ha permesso la fruizione subacquea regolamentata e controllata con sette apposite boe di attracco. Quattro di queste sono dedicate al turismo subacqueo, che deve sempre essere accompagnato dai centri immersione autorizzati e accreditati, i quali svolgono anche compiti di coordinamento tra loro, al fine di non intasare di barche e subacquei i siti di immersione. Le uscite sono condotte dalle guide ambientali subacquee autorizzate dalla Regione Toscana.
È importante sapere che per immergersi a Pianosa è necessario essere in possesso di una certificazione avanzata o di secondo livello.
La boa 3
Mi immergo su una vasta formazione rocciosa distante poche decine di metri dalla costa dell’isola. Ha una forma oblunga, è caratterizzata da gradoni e terrazzamenti e scende sino ad incontrare il fondale sabbioso a quaranta metri di profondità. Le pareti e le fenditure sono adornate da piccole madrepore gialle mentre le zone pianeggianti sono interamente ricoperte di posidonia.
La corrente in questa zona è molto forte e spesso rende necessario trovare riparo tra le rocce per contrastarla e per poter ammirare con calma le meravigliose e maestose cernie stanziali che, per nulla intimorite, aspettano curiose e vogliose delle mie attenzioni. In particolare, un esemplare di grandi dimensioni permette a me ed ai miei compagni di immersione di immortalarci mentre la accarezziamo dolcemente, facendoci provare emozioni rare quanto intense.
Sopra di noi, nel frattempo, centinaia di grossi barracuda nuotano a cerchio, riflettendo con la loro livrea i raggi del timido sole settembrino, mentre sullo sfondo passa un’aquila di mare che sorvola l’ambiente con un aspetto decisamente regale.
La boa 5
Scendo su questa secca, che ha una conformazione simile a quella della boa 3, e su consiglio delle guide ambientali rinuncio a visitarla sino alla sua massima profondità di 42 metri perché decido di penetrare all’interno due splendide grotte difficilmente individuabili dall’esterno che si aprono con delle ampie camere le cui volte sono tappezzate da Parazohantus Axinellae.
Anche qui la corrente è impegnativa e questo mi permette di assistere a scene tipiche dei tratti di mare selvaggi ed incontaminati. Dentici in caccia nuotano poderosi e accerchiano una murena che per difendersi si incastra nel pertugio di una roccia. Le cernie fanno capolino tra gli anfratti e si lasciano avvicinare per poi scodare e tornare al riparo. Centinaia di barracuda danzano nel blu ad un ritmo blando quasi in attesa che un subacqueo si avvicini e cerchi di inserirsi in mezzo a loro per sentirsi parte di questo mondo magicamente vorticoso.
Qui non mancano nemmeno le ricciole. Alcune passano come saette squarciando la nube di castagnole che ho davanti agli occhi. Mentre sono in decompressione, una di loro invece passa lenta e maestosa e mi permette di riprenderla in tutta la sua sinuosa bellezza.
La boa 7
È l’immersione di chi ama quel particolare ambiente che solo la profondità del Mar Mediterraneo può dare. È l’immersione dalle tinte forti, dalle emozioni intense. È l’immersione dei fotografi che riescono, grazie ai loro obiettivi grandangolari, a regalarci immagini di panorami inimmaginabili.
Una secca con il cappello a 27 metri di profondità per poi sprofondare sino a -52 per ammirare le pareti rocciose totalmente ricoperte da enormi ventagli di gorgonie rosse e gialle.
Una foresta scura che si trasforma in una spettacolo cromatico al passaggio dei fasci di luce della mia torcia subacquea.
Consigli per gli acquisti
Per le immersioni a Pianosa è richiesta la certificazione minima avanzata o di secondo livello. Consiglio la specialità di immersione profonda e soprattutto consiglio di immergersi in queste acque con un’esperienza di almeno 40 immersioni. L’immersione alla boa 7, per la sua particolare complessità, richiederebbe addirittura un’esperienza superiore ed un training che abiliti alla decompressione.
I diving center dell’Isola d’Elba organizzano escursioni giornaliere a Pianosa con due immersioni. Il tempo di navigazione per raggiungerla varia da un’ora a 40 minuti a seconda delle condizione del mare e del luogo di partenza.
Centri immersione consigliati:
Elba Diving Center Marciana Marina
Diving in Elba Portoferraio
Sub Now Marina di Campo
Enfola Diving Enfola Portoferraio
👌